Aggiornamento delle 21.50 di martedì 17/12/2019: l’Esa ha appena comunicato che, a seguito della sostituzione di un dispositivo difettoso che ha causato un’anomalia nella sequenza di lancio automatizzata del 17 dicembre, il lancio di Cheops è ora previsto per le 09:54:20 ora italiana di mercoledì 18 dicembre.
Doveva alzarsi in volo alle 9:54 ora italiana, il lanciatore Soyuz con a bordo il “misuratore di pianeti” Cheops dell’Agenzia spaziale europea. Ma gli toccherà attendere almeno altre 24 ore. Circa un’ora prima del lancio è infatti comparso – sul “tabellone delle partenze” dello spazioporto di Kourou, nella Guyana francese – il temuto box rosso che nega l’autorizzazione al lancio. Le notizie che circolano in rete ora, nel momento in cui stiamo scrivendo, dicono che il problema sia dovuto a qualcosa da rivedere nel software del lanciatore, ma occorre ancora un po’ di tempo per un’analisi più puntuale.
Quel che pare certo è che il carico – i satelliti, dunque – non ha problemi. Satelliti al plurale: oltre a Cheops, infatti, nella stiva del Soyuz sono ospitati uno dei satelliti italiani per l’osservazione della terra della costellazione Cosmo-SkyMed e tre piccoli satelliti ausiliari: Angels ed EyeSat dell’agenzia spaziale francese Cnes e Ops-Sat di Tyvak.
Tornando a Cheops, ricordiamo che si tratta di un telescopio dell’Agenzia spaziale europea, a forte contributo italiano, pensato per “prendere le misure” a circa settemila pianeti extrasolari. Pianeti già individuati da telescopi a terra (per questo Cheops viene definita una missione di “follow-up”, ovvero di approfondimento su oggetti già noti, e non di “scoperta”), ma dei quali, nella maggior parte dei casi, si conosce la massa e non le dimensioni.
Senza conoscere entrambe le cose – massa e dimensioni – non è possibile risalire alla densità, parametro cruciale per fare ipotesi su ciò di cui un pianeta è fatto. Provate a immaginare di dover indovinare se una palla è fatta di ferro o di polistirolo: senza poterla vedere, conoscerne il peso vi servirebbe a poco. Potrebbe infatti essere un’enorme sfera da 10 chili di polistirolo o una piccola boccia, sempre da 10 chili, di ferro. Dunque è necessario sapere anche quanto è grande.
Ed è esattamente ciò che farà Cheops: misurando con estrema precisione la quantità di “ombra” che un pianeta proietta sul telescopio passando davanti alla sua stella, risalirà al suo diametro, e quindi al suo volume. Dividendo poi la massa – già calcolata, con un metodo completamente differente, dai telescopi qui sulla Terra – per il volume trovato, gli scienziati potranno risalire alla densità, riuscendo così a fare ipotesi sul contenuto e sul tipo di rocce e liquidi che formano quel mondo lontano.
Insomma, l’impresa è ambiziosa, centinaia di scienziati ci hanno lavorato per anni, e vale dunque assolutamente la pena attendere ancora qualche ora – o, più probabilmente, qualche giorno – per garantirsi un lancio che porti Cheops a destinazione.
Nell’attesa, potete vedere sulla nostra pagina Facebook cosa ha detto a MediaInaf Tv Isabella Pagano, direttrice dell’Inaf di Catania, membro del team che ha costruito lo strumento e responsabile del programma di scienza ancillare di Cheops.
Marco Malaspina (Media INAF)
Fonte: Media INAF