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Le aurore boreali, con le loro forme fluttuanti e i loro colori cangianti, sono uno tra i fenomeni più affascinanti in natura. Ma il fascino non è solo estetico, e le aurore non sono solo polari: c’è anche tanta fisica di punta, nello studio delle aurore, e ci sono anche aurore ben al di là dell’atmosfera terrestre. Uno studio appena pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society descrive la scoperta di emissione aurorale – osservata in banda radio con l’Australia Telescope Compact Array e in banda X con il satellite Xmm-Newton dell’Agenzia spaziale europea – in una giovane stella a 360 anni luce da noi, in direzione della costellazione dell’Ofiuco: Rho Oph A. Studio firmato da un team d’astronomi guidato da Paolo Leto e Corrado Trigilio dell’Istituto nazionale di astrofisica di Catania. Li abbiamo intervistati.

Aurore a raggi X, dunque. Noi siamo abituati alle aurore polari, prodotte dall’interazione fra le particelle del vento solare e l’atmosfera terrestre. In queste che avete osservato sulla stella Rho Oph A, invece, chi sono gli attori in gioco?

«Sono sempre elettroni e protoni, e anche in questo caso sono particelle del vento della stella stessa. Qui, però, il fenomeno è un po’ diverso. Rho Oph A è una stella calda di sequenza principale, con una temperatura in fotosfera di 21mila gradi, ed è dotata di un intenso campo magnetico probabilmente dipolare, come fosse dovuto ad una gigantesca barra magnetica al suo interno. Il campo magnetico è circa 4mila volte più intenso di quello terrestre – quindi circa 2.700 Gauss. Una stella calda è molto luminosa, e la luce stessa “spinge” le particelle più esterne dell’atmosfera verso l’esterno, generando il vento stellare. Ma le linee di forza del campo magnetico della stella agiscono come dei binari, guidando le particelle del vento lungo il loro percorso, che le porta da entrambi i poli verso il piano dell’equatore. Lontano dalla stella, dove il campo magnetico si affievolisce, il gas diventa più turbolento, esattamente allo stesso modo di ciò che avviene nelle code magnetiche dei pianeti magnetizzati. Da qui il gas viene accelerato a ritroso verso la stella, formando le aurore».

Al posto dell’atmosfera terrestre, con cosa interagiscono?

«Seguendo il campo magnetico, queste particelle si troveranno a convergere verso regioni anulari attorno al polo magnetico della stella. Da qui una “pioggia” di particelle di alta energia nell’atmosfera della stella».

Lenzuolate colorate come quelle polari, ma in banda X invece che ottica, dunque?

«Questa pioggia di particelle di alta energia – più che altro una “grandine calda” – collide con gli atomi dell’atmosfera stellare, causando un sovrariscaldamento e l’eccitazione degli atomi stessi. Ma il riscaldamento può portare ad aumenti di temperature del plasma atmosferico fino anche a parecchi milioni di gradi. Da qui l’emissione a raggi X, che è particolarmente intensa».

In che senso è la prima volta che si osserva un fenomeno del genere? Non s’era mai visto prima su una stella, o è la prima aurora X in generale?

«No, non è la prima in generale: anche sulla Terra e nei pianeti magnetizzati – per esempio su Giove – sono state osservate aurore X. Ma Rho Oph A è la prima stella calda e magnetica in cui abbiamo l’evidenza che l’emissione a raggi X varia durante la rotazione così come ci aspettiamo che vari la visibilità dalla Terra dell’anello aurorale. Dobbiamo dire che per altre stelle dello stesso tipo avevamo già interpretato l’emissione X come dovuta alla grandinata di particelle sulla fotosfera della stella, sulla base dello spettro energetico. Hr7355, osservata nel 2017, è stata la prima di queste, seguita da Hr5907 e Cu Virginis nel 2018».

E sul Sole?

«Sul Sole non si osservano aurore, né nella banda radio né ai raggi X. Tuttavia, durante i brillamenti solari avvengono fenomeni di precipitazione di particelle energetiche in fotosfera che danno origine a emissione simile a quella aurorale, sia nel radio che nell’X».

Ecco, a questo proposito: inizialmente, vi siete accorti delle aurore di Rho Oph A grazie a osservazioni con un radiotelescopio, l’Australia Telescope Compact Array. Come mai?

«In realtà le aurore su altre stelle sono state scoperte proprio a lunghezza d’onda radio. La prima stella in assoluto è stata Cu Virginis, che noi stessi abbiamo scoperto ormai venti anno fa, nel 2000, con osservazioni al Very Large Array americano e poi all’Australia Telescope Compact Array. Abbiamo dovuto attendere fino al 2018 per capire che questo fenomeno non era caratteristico di una sola stella, ma di un’intera classe: quelle calde e magnetiche che hanno un campo magnetico obliquo rispetto all’asse di rotazione. Rho Oph A aveva tutte le caratteristiche per mostrare l’emissione radio aurorale come in Cu Virginis, e di fatto l’abbiamo trovata! E proprio in questo articolo ne pubblichiamo la scoperta».

Rappresentazione schematica del modello proposto per spiegare l’emissione radio e X osservata su Rho Oph A. Fonte: P. Leto et al., Mnras 2020

Ma che aurore sono, queste in banda radio?

«Il fenomeno delle aurore nel radio è particolare. Se si osserva la stella durante la sua rotazione, si vedono due picchi di emissione molto intensa e particolare. La particolarità sta nel fatto che l’emissione radio è fortemente polarizzata (polarizzazione circolare) ed è molto direttiva, dando origine a un “effetto faro”. È qualcosa di simile all’emissione radio delle pulsar. Nel caso delle stelle calde e magnetiche l’emissione è dovuta al maser di ciclotrone: qualcosa di simile al laser ma a frequenze radio, innescate dalle particelle che, come abbiamo visto, si sono propagate verso la stella. Di queste, alcune sono precipitate nell’atmosfera della stella, dando luogo a emissione aurorale X, altre vengono riflesse dal fenomeno degli specchi magnetici e producono l’emissione maser. Tutti gli attori coinvolti nel fenomeno aurorale sono accomunati dai medesimi fenomeni fisici, che coinvolgono il plasma intrappolato nella magnetosfera stellare, cioè l’accelerazione di particelle relativistiche all’interno della magnetosfera e la loro propagazione al suo interno».

Aurore X, aurore radio… E nelle altre bande? In ottico, per esempio?

«Come dicevamo prima, le particelle energetiche che precipitano nell’atmosfera della stella, analogamente al caso dell’atmosfera terrestre, eccitano gli atomi dell’atmosfera, che possono quindi emettere luce in particolari colori – “in riga”, come diciamo noi astrofisici. Ogni colore è caratteristico dell’elemento e potrebbero essere nella luce visibile e nei raggi Uv. L’unico problema è che l’emissione dev’essere tanto intensa da essere visibile nonostante la luce della stella sia abbagliante (si tratta di stelle calde). Finora, nonostante vari tentativi di osservazione che noi stessi abbiamo effettuato, per esempio con il telescopio spaziale Hubble, non siamo ancora riusciti a osservare le aurore stellari nel visibile e nell’Uv».

Torniamo all’emissione in X nell’aurora di una stella: perché nessuno l’aveva mai osservata prima?

«Il modello che abbiamo sviluppato per l’emissione aurorale radio prevedeva l’emissione X. Tuttavia, nonostante abbiamo tentato in passato di vederla su Cu Vir e altre stelle dello stesso tipo, pur osservando emissione a raggi X, non siamo riusciti a vedere la modulazione che ci aspettavamo. Recenti osservazioni effettuate da colleghi dell’Osservatorio Inaf di Palermo hanno evidenziato in Rho Oph A la modulazione che ci aspettavamo. Da qui, l’unione fa la forza, e la collaborazione ci ha portato a questa scoperta».

Avviene solo su Rho Oph A?

«No, non pensiamo che Rho Oph A sia l’unica. È probabilmente solo la prima in cui siamo riusciti a evidenziare il fenomeno».

Fenomeno che, se confermato, ci dice qualcosa di nuovo, sulla natura delle stelle?

«La conferma può avvenire con osservazioni coordinate nella banda radio e ai raggi X su Rho Oph A o su altre stelle simili. Oggi abbiamo capito che esistono nell’universo oggetti di tipi diversi che mostrano fenomeni simili. Come nel caso delle stelle calde magnetiche, le nane brune, i pianeti magnetizzati del Sistema solare e anche pianeti di altri sistemi planetari. Forse più che capire la natura delle stelle stiamo capendo parecchio sul comportamento dei plasmi in diversi ambienti cosmici. Le stelle magnetiche sono dei laboratori eccezionali per questi studi, e ci danno la possibilità di identificare e capire questo tipo di fenomeni che avvengono in moltissimi altri casi, come ad esempio nella interazione magnetica tra stella e un esopianeta. Lo studio della fisica del plasma condotto sulle stelle calde e magnetiche ha quindi implicazioni ben più ampie».

Marco Malaspina (Media INAF)

Fonte: Media INAF


Per saperne di più:

  • Leggi su Monthly Noticesof the Royal Astronomical Society l’articolo “Evidence for radio and X-ray auroral emissions from the magnetic B-type star rho Oph A”, di Leto, C. Trigilio, F. Leone, I. Pillitteri, C.S. Buemi, L. Fossati, F. Cavallaro, L.M. Oskinova, R. Ignace, J. Krticka, G. Umana, G. Catanzaro, A. Ingallinera, F. Bufano, C. Agliozzo, N.M. Phillips, L. Cerrigone, S. Riggi, S. Loru, M. Munari, M. Gangi, M. Giarrusso e J. Robrade