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Uno degli enigmi più intriganti dell’astrofisica riguarda le magnetar, stelle di neutroni estremamente compatte, caratterizzate da campi magnetici che possono superare il miliardo di tesla. Nel 2023 è stata scoperta una stella che potrebbe aiutare gli scienziati a fare luce sui processi fisici che portano alla loro origine. Si tratta di Hd 45166, è composta principalmente da elio bollente e appartiene a un sistema binario. La sua massa è circa il doppio di quella del Sole e il suo campo magnetico è il più intenso mai osservato in una stella ancora attiva. Spettroscopicamente, viene classificata come stella di Wolf-Rayet, una classe rara di stelle massicce e calde, che espellono gli strati più esterni sotto forma di violenti venti stellari.

Rappresentazione artistica di Hd 45166, la stella che potrebbe diventare una magnetar. Crediti: Eso/L. Calçada

Ciò che ha suscitato maggiore interesse è il fatto che Hd 45166 potrebbe essere la progenitrice di una futura magnetar. In realtà, la possibilità che ciò accada dipende dalla quantità di massa che la stella perderà attraverso il suo vento stellare prima del collasso. Uno studio a guida Inaf pubblicato lo scorso maggio sulla rivista Astronomy & Astrophysics ha chiarito questo aspetto: per essere certi che la stella diventi una magnetar, bisogna capire “che vento tira” da quelle parti. Infatti, se il vento è troppo forte, può portare via abbastanza materiale da ridurre la massa della stella al di sotto del cosiddetto “limite di Chandrasekhar” (che corrisponde a circa 1,44 masse solari), dando luogo a una semplice nana bianca invece che a una magnetar.

«Una stima quanto più precisa possibile del suo tasso di perdita di massa è quindi cruciale per quantificare quanta massa avrà la stella poco prima della sua morte», spiega Paolo Leto dell’Inaf di Catania, primo autore dello studio.

Ma ottenere questa stima non è affatto semplice nel caso di una stella di Wolf-Rayet, il cui intenso campo magnetico influenza e confina il vento stellare, rendendo così insufficienti i metodi di misura tradizionali, basati su osservazioni nell’ultravioletto e nell’ottico. Per superare l’ostacolo, il team guidato da Leto ha adottato un approccio multi-frequenza, combinando dati nei raggi X (dal satellite Xmm-Newton) e onde radio (dall’interferometro Vla). Quello che è emerso dalle nuove misure è che, nonostante la stella di Wolf-Rayet sia molto brillante nei raggi X – a conferma del fatto che il campo magnetico influenza fortemente il vento stellare – non mostra alcuna emissione rilevabile nelle onde radio.

I modelli teorici adottati spiegano che questo risultato sorprendente è proprio la conferma che gli scienziati cercavano: la quantità di emissione radio rilevata (o meglio, non rilevata), è infatti direttamente collegata alla quantità di materia che la stella sta perdendo.

«Queste nuove misure ci dicono che il vento stellare è relativamente debole», continua Leto, «e questo rafforza l’ipotesi che Hd 45166 possa conservare una massa sufficiente per collassare in una magnetar».

Un significativo passo avanti nella comprensione dei venti nelle stelle magnetiche calde potrà essere fatto grazie all’utilizzo dell’interferometria di nuova generazione. In particolare il next-generation Vla (ngVla) e lo Square Kilometer Array (Ska), potrebbero permettere di rivelare anche i segnali radio più deboli, fornendo una visione senza precedenti dei processi fisici che caratterizzano le stelle più magnetizzate dell’universo.

Fonte: Media INAF

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