È periodo di dichiarazione dei redditi, e come ogni anno molti di coloro che ci leggono si saranno trovati a scegliere a chi destinare il cosiddetto 5×1000: la quota d’imposta Irpef riservata a realtà che svolgono attività socialmente rilevanti. Decine di migliaia di associazioni ed enti – l’ultimo elenco è lungo oltre 2500 pagine – fra i quali figura anche l’Inaf, l’Istituto nazionale di astrofisica.
Tutti i soggetti beneficiari del 5×1000 sono tenuti a dimostrare l’impiego delle somme percepite redigendo ogni anno un apposito rendiconto. Come vengono dunque spesi, questi contributi? E a quanto ammontano? I dati relativi all’Inaf sono disponibili sul sito istituzionale www.inaf.it, ma la lettura non è sempre agevole, trattandosi di documenti amministrativi, dunque per riassumere nel modo più semplice e chiaro possibile il loro utilizzo abbiamo intervistato Antonella Gasperini, dirigente tecnologa all’Inaf di Arcetri, responsabile del settore al quale l’Inaf ha deciso di destinare i proventi del 5×1000: la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico scientifico.

Antonella Gasperini, dirigente tecnologa all’Inaf di Arcetri, responsabile del settore per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico scientifico. Crediti: Inaf
Gasperini, di che cifre parliamo?
«L’ambito Mab – ovvero musei, archivi e biblioteche – ha ricevuto i fondi del cinque per mille destinati all’Inaf a partire dal 2012 e ha ricevuto fino a oggi, in totale, un contributo superiore a 245mila euro: per l’esattezza, 247.535,49 euro. La cifra erogata annualmente ha oscillato fra 15mila e 28mila euro, con una media di 20mila euro all’anno. Si tratta di fondi che, per ovvi motivi, arrivano più o meno due anni dopo rispetto all’anno di riferimento fiscale. Sono fondi con scadenza annuale, soggetti a rendicontazione, pubblicata sul sito web dell’ente».
Qualche esempio del loro utilizzo?
«I fondi sono stati utilizzati per attività di tutela e valorizzazione del patrimonio storico dell’Inaf. È stata svolta attività di catalogazione del materiale bibliografico, con particolare attenzione ai materiali rari, alle carte e alle pubblicazioni periodiche di ambito astronomico. È stata fatta una schedatura analitica degli incunaboli e delle cinquecentine degli osservatori dell’Inaf che ha portato alla pubblicazione del volume Gli Incunaboli e le Cinquecentine degli osservatori astronomici dell’Istituto nazionale di astrofisica, 1478-1560 (Olschki, 2024). Sono inoltre stati restaurati volumi antichi e di pregio e documentazione archivistica di numerosi osservatori. In particolare, con questi fondi sono stati restaurati, ad esempio, i Diari di Schiaparelli e la “Carta della Luna” di G.D. Cassini (1787), conservati all’Osservatorio di Brera. Come pure anche alcuni volumi miscellanei contenenti pubblicazioni rare di ambito napoletano dei secoli XIX e XX».
Tutte iniziative, queste, destinate anzitutto al patrimonio cartaceo. E per renderlo fruibile anche online?
«Certo, sempre con il contributo del cinque per mille si è proceduto alla digitalizzazione dei volumi più antichi posseduti dall’Inaf, realizzando una vera e propria teca digitale. Ma sono stati digitalizzati anche alcuni fondi di archivio particolari come le serie metereologiche degli Osservatori di Padova (1716-1796) e le osservazioni solari fatte da Angelo Secchi a Roma (1858-1886) e da Pietro Tacchini a Catania(1865-1876). Con tali fondi si è proceduto poi al completamento del riordino di alcuni archivi storici, alla loro inventariazione e al riversamento dei dati nel portale Polvere di stelle. In particolare, gli archivi di Roma, Padova, Trieste e Arcetri, mentre altri archivi storici sono stati riordinati e inventariati con fondi diversi.
Libri a parte?
«Di recente abbiamo portato a termine due restauri importanti: quello del tubo del telescopio Merz di Catania e, di recente, del rifrattore Merz di Schiaparelli di Brera. E non dimentichiamo il portale dei beni culturali dell’astronomia in Italia, Polvere di stelle: con le sue molteplici sezioni, è uno strumento in continua implementazione ed evoluzione e nel corso degli ultimi anni sono state riviste alcune sezioni ed è stato fatto un upgrade relativo all’output e alla grafica per renderlo uno strumento sia accessibile a un pubblico generico sia sempre più rispondente alle necessità di ricerca degli studiosi. Una parte dei fondi ricevuti dal cinque per mille sono stati investiti in questa direzione. Sono stati fondamentali anche per consentirci di organizzare alcuni workshop su temi legati alla conservazione preventiva del patrimonio storico. Infine, sono stati utilizzati per cofinanziare alcuni assegni di ricerca (a Trieste, Palermo, Padova e Napoli) per la selezione di competenze professionali specifiche, indispensabili – essendo l’ambito Mab fortemente sotto organico – per la gestione e la valorizzazione di un patrimonio di tale valore culturale».
Fonte: Media INAF