Seleziona una pagina

I grandi telescopi del futuro sono tutti segmentati, cioè costruiti da tasselli che, montati opportunamente, si comportano come un singolo specchio.  Un’idea che ha la semplicità del genio e rende possibile costruire specchi grandi come campi da tennis contenendo i costi di costruzione, montaggio e manutenzione. Credo che ben pochi sappiano che l’idea degli specchi segmentati è nata in Italia.

Fu Guido Horn d’Arturo, lavorando all’osservatorio di Bologna, a proporre la soluzione avveniristica all’inizio degli anni ’30, quando pensò di costruire uno specchio “grande” accostando piccoli tasselli.

Horn d’Arturo riuscì a sviluppare un specchio del diametro di 1 m composto da tasselli di forma trapezoidale prima di essere vittima delle leggi razziali. Ripreso il suo posto alla fine della guerra, realizzò un nuovo specchio segmentato formato di 61 tasselli esagonali, a formare una superficie di 1,8 m di diametro. Era un buon inizio ma l’idea, forse troppo avanzata per la tecnologia degli anni ‘50, non sfondò.

Come leggiamo nel libro Guido Horn d’Arturo and the giant telescopes (edito da Eie Cultura), è stato necessario aspettare mezzo secolo per assistere allo spettacolare sviluppo degli specchi segmentati, reinventati in chiave moderna, ma è bene ricordare che è stato Horn d’Arturo ad avere avuto l’idea vincente.

Per questo l’Istituto nazionale di astrofisica e la Società astronomica italiana hanno deciso di rendergli omaggio dedicandogli Astri, il più grande telescopio segmentato operativo in Italia con uno specchio primario del diametro di 4 m, formato da 16 tasselli esagonali. Interamente progettato e costruito in Italia, Astri è installato a Serra la Nave, sede dell’osservatorio di Catania, nel parco dell’Etna, dove ha avuto luogo la cerimonia il 10 novembre.

In parallelo, a Catania, nel Monastero dei Benedettini, è stata inaugurata la mostra “Gli Astri di Horn”, nata dalla collaborazione con il Museo Ebraico di Bologna. La mostra, che sarà aperta fino al 15 dicembre, occupa i locali dell’antica sede dell’Osservatorio di Catania dove Horn d’Arturo lavorò all’inizio della sua carriera.

Patrizia Caraveo (Media INAF)

Fonte: Media INAF