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È una costellazione di nove telescopi. Tutti uguali. Tutti di colore rosso. Tutti dotati di uno specchio primario da 4.3 metri formato da 18 segmenti esagonali. Sta sorgendo alle Canarie, sull’Isola di Tenerife, all’Osservatorio del Teide – uno fra i siti migliori al mondo per l’astronomia, nel mezzo dell’Oceano Atlantico, al di sopra delle nubi, a 2370 metri sul livello del mare.

Si chiama Astri, acronimo di “Astrofisica con specchi a tecnologia replicante Italiana”, ed è effettivamente un progetto tutto made in Italy. Il settimo telescopio è stato completato e installato giusto pochi giorni fa, dunque s’inizia a intravedere il giorno in cui Astri potrà entrare in funzione. Facciamo il punto con il principal investigator del progetto, l’astrofisico Giovanni Pareschi, dell’Inaf di Brera.

Pareschi, che telescopi sono, questi dell’array Astri?

«Si tratta di telescopi particolari, a due specchi (al contrario degli altri telescopi Cherenkov a specchio singolo), molto compatti, con un diametro di quattro metri e un peso di poco più di 17 tonnellate. Il disegno ottico sfrutta l’idea iniziale di Karl Schwarzschild – proprio lui, lo stesso grande fisico che risolse le equazioni relativistiche di campo di Einstein, ipotizzando per primo l’esistenza dei buchi neri – per la realizzazione di telescopi basati su specchi asferici e aplanatici, cioè in grado di mantenere la stessa risoluzione angolare su campi di vista molto ampi. L’idea è stata poi perfezionata da Couder negli anni ’20 del secolo scorso e, infine, dal nostro Paolo Conconi alcuni anni fa, adattandola al caso dei telescopi Cherenkov».

Campi di vista molto ampi, diceva. Quanto?

«I telescopi Astri sono caratterizzati da un campo di vista di oltre 10 gradi in diametro, pur non avendo una risoluzione angolare particolarmente elevata, solo alcuni minuti d’arco. Questa moderata qualità di imaging è sufficiente per osservare la luce bluastra (detta Cherenkov, in onore del fisico russo che per primo studiò il fenomeno) generata dagli sciami di particelle relativistiche generati a loro volta dai raggi gamma interagendo con la nostra atmosfera. Questi flash di luce Cherenkov sono brevissimi (appena qualche miliardesimo di secondo) e nel piano focale dei nostri telescopi sono montati sistemi di rivelazione a pixel, simili concettualmente a quelli delle nostre macchine fotografiche digitali, ma in grado di campionare il segnale su tempi brevissimi. La direzione e l’energia dei raggi gamma di origine celeste sono ricavati analizzando queste tracce; la nostra atmosfera stessa diventa quindi una sorta di grande rivelatore per raggi gamma, un “calorimetro” in linguaggio tecnico».

Raggi gamma in quale range di energia?

«I raggi gamma osservabili da Terra con questo metodo hanno un’energia molto elevata, tra una frazione di TeV e alcune centinaia di TeV. Per dare un’idea, l’energia di un 1 TeV è la stessa di una zanzara che vola alla sua velocità tipica, 30 cm/s. I telescopi Astri sono stati progettati per osservare con questo metodo le energie dei raggi gamma più elevate (da pochi TeV a circa 300 TeV)  e studiare, in questo modo, l’origine dei raggi cosmici».

Giovanni Pareschi con il telescopio Astri-1 sullo sfondo. Crediti: Inaf/R. Bonuccelli e D. Coero Borga

Nel complesso, sono dunque molto simili ai telescopi più piccoli di Ctao, il Cherenkov Telescope Array Observatory?

«I telescopi Astri e quelli più piccoli di Ctao, chiamati Sst (Small Sized Telescopes), hanno esattamente lo stesso disegno ottico e lo stesso sistema di specchi primari e secondari, entrambi fortemente asferici. Ricordo che, grazie allo sviluppo di Astri Mini-Array, al know-how acquisito e all’autorevolezza guadagnata sul piano internazionale, ora Inaf guida (con il coordinamento di Gianpiero Tagliaferri) anche l’implementazione del gruppo di 42 telescopi Sst in Ctao.

Si è partiti da un prototipo completamente sviluppato da Inaf e poi installato sulle pendici dell’Etna al sito di Serra La Nave. Questo prototipo, chiamato Astri Horn in onore del grande astronomo italiano Guido Horn D’Arturo (inventore del sistema di specchi primari a tasselli), non solo è servito per mettere a punto le tecnologie, ma ha permesso per la prima volta sia di provare il concetto di telescopio “alla Schwarzschild”, sia di osservare  con un telescopio a due specchi e tecnica Cherenkov una sorgente gamma, la Crab nebula.

Lo specchio primario è formato da 18 segmenti divisi in tre corone con diverso raggio di curvatura medio. Sono pannelli molto leggeri, poco più di 10 kg/cm2, realizzati partendo da fogli di vetro sottile, meno di 2 mm di spessore, replicati a freddo con una tecnologia messa a punto in Italia, con forte contributo Inaf. Quelli secondari sono monolitici e curvati a caldo, partendo da una lastra di vetro spessa circa 20 mm».

Anche per quanto riguarda la struttura dei telescopi, Astri e Sst si assomigliano?

«Le strutture meccaniche, partendo da un progetto iniziale utilizzato per Astri-Horn e poi perfezionato da Inaf con la ditta Eie Group srl per il primo telescopio del Mini-Array (Astri-1), sono davvero molto simili, a parte alcuni dettagli. I telescopi Astri sono evoluti e ulteriormente grazie al lavoro svolto da Inaf con la ditta Dal Ben spa, che ha realizzato gli altri telescopi Astri, e il progetto finale è stato ulteriormente perfezionato per i telescopi Sst. In particolare, il supporto dello specchio primario è stato leggermente modificato per meglio sorreggere le sollecitazioni dei telescopi in Cile recependo alcuni suggerimenti dei colleghi francesi dell’Observatoire de Paris Medudon, che fanno parte della collaborazione Sst/Ctao».

Qual è invece la maggior differenza fra i due?

«Direi le camere al piano focale. Quelle Astri sono state sviluppate interamente da Inaf, quelle di Sst da un consorzio internazionale guidato dal Max Planck Institute di Heidelberg, e sono basate su tecnologie elettroniche diverse, entrambe molto performanti. Proprio nei giorni scorsi si è completata con successo una campagna di calibrazioni di un prototipo di camera Sst sul telescopio Astri-2 a Tenerife, il cui sviluppo è leggermente meno avanzato rispetto alle camere Astri».

Alla luce delle numerose somiglianze, potremmo considerare i telescopi dell’Astri Mini-Array “gli Sst dell’emisfero nord”, visto che Ctao installerà i suoi telescopi più piccoli solo nell’emisfero sud, mentre sia gli Lst (quelli più grandi) che gli Mst (quelli medi) sono previsti in entrambi gli emisferi?

«Astri Mini-Array è stato sviluppato da Inaf per fungere da precursore tecnologico del gruppo di telescopi Sst, e questo ha aiutato tantissimo lo sviluppo dell’array Sst a guida italiana per Ctao. Ma Astri è anche l’esperimento che va a osservare, nell’emisfero nord, le sorgenti celesti ad alta energia gamma, coprendo l’assenza di telescopi dedicati a questa banda sia negli attuali array di telescopi Cherenkov che per Ctao. Nella scelta del sito abbiamo tenuto conto sia di obiettivi e opportunità scientifiche, sia il vantaggio di potere installare l’esperimento in un sito già ben sviluppato come quello dell’Observatorio del Teide, a Tenerife, contando sull’ottima collaborazione con Iac, l’Instituto de Astrofisica de Canarias, sia sull’aiuto – che si è rivelato fondamentale – da parte della Fundacion Galileo Galilei (di governance Inaf), che già gestisce in modo tanto efficiente il Telescopio Nazionale Galileo (Tng) sull’isola di La Palma. L’implementazione di Astri, coordinata dal project manager Salvo Scuderi di Iasf Milano, ha poi visto il coinvolgimento di tantissimi tecnici, tecnologi e ricercatori Inaf o associati a Inaf in varie strutture (a Catania, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Palermo, Perugia, Roma, Trieste…), in un vero spirito di gruppo. Ora le attività riguardano anche le osservazioni e l’analisi dati, c’è un grandissimo entusiasmo».

Torniamo agli obiettivi scientifici di Astri. Da quel che ho capito, Ctao non ha ritenuto rilevante avere telescopi piccoli nell’emisfero nord perché la scienza che possono fare è legata soprattutto a oggetti presenti per lo più nel centro galattico, dunque visibile dal Cile. Per Astri non vale lo stesso argomento?

«All’epoca in cui Ctao fu concepito, nel 2006, non furono previsti i telescopi Sst al sito nord soprattutto per ragioni di opportunità e di geopolitica. Vi era in effetti una forte volontà di collocare l’array Ctao Nord al sito astronomico del Roque de Los Muchachos, nell’isola di La Palma (nell’arcipelago delle Canarie), dove erano già presenti i due telescopi dell’esperimento Magic, dedicato allo studio dei raggi gamma a energie relativamente basse e dove l’areale disponibile risultava troppo piccolo per ospitare anche i telescopi Sst, che devono essere numerosi e necessitano di grandi distanze reciproche. D’altra parte, all’epoca si ignorava quanto potesse essere ricco di sorgenti gamma di alta energia il sito Nord, anche di sorgenti galattiche.

Quando, nell’ambito delle presidenze Inaf di Nichi d’Amico e Marco Tavani, si decise di dare collocazione definitiva a Tenerife per Astri Mini-Array (tra il 2019 e il 2020), si tenne conto che nel frattempo avrebbe cominciato a osservare in Tibet il grande esperimento cinese Lhaaso, che opera a più di 4400 m osservando direttamente gli sciami di particelle cariche sviluppati a valle dell’interazione dei raggi gamma con l’atmosfera, una tecnica alternativa a quella Cherenkov atmosferico che permette un’integrazione continua del segnale su vaste aree di cielo, a scapito di una bassa risoluzione angolare (poco meno di un grado). Lhaaso ha in effetti aperto una nuova finestra nell’astronomia gamma, osservando decine di sorgenti sconosciute che emettono proprio nella regione dei gamma di alta energia, pubblicando i relativi cataloghi dal 2023 in poi, con un impatto enorme sulle ricerche del settore.

La scelta di collocare Astri Mini-Array al nord è stata quindi vincente, perché Astri si dedicherà all’osservazione, su vaste aree di cielo di un centinaio di gradi quadrati, proprio di queste nuove sorgenti non ancora risolte angolarmente, sfruttando la capacità di imaging molto migliore rispetto a Lhaaso (alcuni arcominuti). Si tratta davvero di una grande opportunità, in particolare per cercare di scoprire la natura delle sorgenti dette “pevatroniche” all’origine dei raggi cosmici che continuamente osserviamo sulla Terra, ma di cui non sappiamo ancora l’origine. Per altro, speriamo di collaborare in futuro anche con Ctao con programmi osservativi comuni nell’ambito di una legacy di interessi scientifici».

Questo però arriva a un prezzo: quanto costa, nel complesso, l’intero progetto Astri? E da chi è finanziato?

«Stiamo parlando di un costo complessivo di diversi milioni di euro, in gran parte finanziati dal Mur con specifici fondi di sviluppo tecnologico dai programmi dei “progetti Bandiera” e di “Astronomia industriale” assegnati a Inaf per essere preparati alla sfida di Ctao, in parte da contributi di istituti internazionali che fanno parte della collaborazione, come l’Universidade de São Paulo in Brasile (finanziata a sua volta dal Fapesp, l’Agenzia per la Scienza dello Stato di Sao Paulo) e la North-West University in Sud Africa. Il finanziamento non ha gravato quindi sul filone dedicato alla partecipazione a Ctao, mentre ha permesso di sviluppare le tecnologie e gli strumenti di analisi dati necessari per avere un ruolo guida nell’implementazione degli Sst.

I sette telescopi di Astri Mini-Array già installati al sito dell’Observatorio del Teide. Crediti: Inaf/ G. Leto e S. Anzuinelli

Nella realizzazione di Astri, abbiamo collaborato direttamente con diverse industrie nazionali che hanno avuto modo di consolidare i propri know-how e capacità produttive e che ora sono coinvolte nella realizzazione di Ctao e in altri progetti Cherenkov con contratti che provengono anche da agenzie e istituti stranieri. Ad esempio, la ditta Dal Ben spa, responsabile per la realizzazione dei sei telescopi Astri appena installati, ha appena ottenuto dal Cnrs francese un contratto di diversi milioni di euro per realizzare parte dei telescopi Sst, mentre Media Lario srl – che ha sviluppato e prodotto gli specchi di Astri insieme a Inaf partendo da un’idea di Oberto Citterio – ha avuto diversi contratti dal Max Planck Institute di Monaco per realizzare gli specchi per esperimenti Cherenkov. Per quanto riguarda l’elettronica, gli Asics sviluppati da Inaf insieme alla ditta francese Weeroc (Citiroc e Radioroc), su forte impulso di Osvaldo Catalano, sono diventati ora degli asset tecnologici per sistemi di rivelatori scientifici e biomedicali delle ditte Caen spa e Nuclear Instruments srl, che avevano pure avuto una importante interazione con Inaf nello sviluppo ingegneristico delle camere Astri insieme a Eie Group srl».

E ora siete già arrivati a quota sette. Quando pensate di partire con la scienza? Solo quando i nove telescopi dell’Astri Mini-Array saranno tutti operativi? O anche un po’ prima?

«Stiamo rapidamente procedendo al completamento dell’esperimento. Contiamo di avere tutti e nove i telescopi installati entro la primavera del 2026. Nel frattempo si vanno popolando le varie strutture optomeccaniche con le rispettive camere Cherenkov, in corso di assemblaggio nelle strutture Inaf di Palermo e Catania. Abbiamo già iniziato le osservazioni con un solo telescopio, Astri-1, della Crab Nebula, osservata a un alto livello di significatività in poche ore, e di galassie attive come Mrk 501 e BL Lac. Entro la fine dell’estate, avremo già un altro telecopio completo di camera, permettendo di effettuare le prime osservazioni in modalità stereoscopica, e così via a via dovremmo avere quattro telescopi operativi entro la fine del 2025, aspirando ad avere l’array completo entro l’estate del 2026. L’obiettivo è di potere osservare tra i mesi di giugno e settembre del prossimo anno la regione del Cigno, ricchissima di sorgenti gamma non ancora risolte, con il maggior numero di telescopi completati».

Fonte: Media INAF