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Per “costruire” un pianeta abitabile, i ghiacci sono un ingrediente fondamentale in quanto sono i principali vettori di diversi elementi chiave, come carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto e zolfo (indicati collettivamente come Chons). Questi elementi sono ingredienti importanti sia nelle atmosfere planetarie che in molecole come zuccheri, alcoli e amminoacidi semplici.

Nel Sistema solare, si pensa che i ghiacci siano stati portati sulla superficie terrestre in seguito a impatti di comete o asteroidi. Inoltre, gli astronomi ritengono che molto probabilmente fossero già presenti nella fredda nube di polvere e gas dal cui collasso si è originato il Sistema solare.

In queste regioni dello spazio, i granelli di polvere ricoperti da un mantello di ghiaccio forniscono un ambiente unico per l’incontro di atomi e molecole, che possono innescare reazioni chimiche che portano alla formazione di sostanze molto comuni, come l’acqua. Dettagliati studi di laboratorio hanno inoltre dimostrato che in queste condizioni possono formarsi alcune semplici molecole prebiotiche.

Un team internazionale di astronomi ha recentemente presentato su Nature Astronomy un inventario approfondito delle molecole presenti nei mantelli ghiacciati presenti nella nube molecolare Chamaeleon I – una regione particolarmente fredda e densa a circa 500 anni luce dalla Terra, dove attualmente si stanno formando dozzine di giovani stelle. Per realizzare tale inventario, gli astronomi hanno studiato come la luce stellare proveniente da sorgenti poste oltre la nube è stata assorbita dalle molecole di ghiaccio a specifiche lunghezze d’onda infrarosse, visibili al James Webb Space Telescope. Questo processo lascia impronte chimiche note come spettri di assorbimento che possono essere confrontate con i dati di laboratorio per identificare le molecole presenti nella nube.

Questi grafici mostrano i dati spettrali di tre degli strumenti del Jwst. Oltre alle molecole identificate, il team ha trovato prove di molecole prebiotiche più complesse del metanolo (indicate nel pannello in basso a destra). I pannelli superiori e il pannello in basso a sinistra mostrano tutti la luminosità della stella sullo sfondo rispetto alla lunghezza d’onda. Crediti: Nasa, Esa, Csa, and J. Olmsted (StScI), M. K. McClure (Leiden Observatory), K. Pontoppidan (StScI), N. Crouzet (Leiden University), e Z. Smith (Open University)

Oltre a semplici ghiacci come quelli d’acqua, il team è stato in grado di identificare forme congelate di un’ampia gamma di molecole, dal solfuro di carbonile, ammoniaca e metano, alla più semplice molecola organica complessa, il metanolo (nel mezzo interstellare, le molecole organiche sono considerate complesse quando hanno sei o più atomi). Si tratta del censimento a oggi più completo degli ingredienti ghiacciati disponibili per creare le future generazioni di stelle e pianeti, prima che vengano riscaldati dalla formazione delle giovani stelle. Questi granelli ghiacciati crescono di dimensioni man mano che vengono incanalati nei dischi protoplanetari di gas e polvere attorno alle giovani stelle, e consentono agli astronomi di studiare tutte le potenziali molecole ghiacciate che saranno incorporate nei futuri esopianeti.

Oltre alle molecole identificate, il team ha trovato prove di molecole prebiotiche più complesse del metanolo e, sebbene non abbiano attribuito definitivamente questi segnali a molecole specifiche, ciò dimostra per la prima volta che nelle gelide profondità delle nubi molecolari si formano molecole complesse, prima che nascano le stelle.

«La nostra identificazione di molecole organiche complesse, come il metanolo e potenzialmente l’etanolo, suggerisce anche che i numerosi sistemi stellari e planetari che si sviluppano in questa particolare nube erediteranno molecole in uno stato chimico abbastanza avanzato», aggiunge Will Rocha, astronomo dell’Osservatorio di Leiden che ha contribuito a questa scoperta. «Questo potrebbe significare che la presenza di molecole prebiotiche nei sistemi planetari è un risultato comune della formazione stellare, piuttosto che una caratteristica unica del nostro Sistema solare».

Rilevando il solfuro di carbonile, i ricercatori sono stati in grado di stimare per la prima volta la quantità di zolfo incorporata nei granelli di polvere ghiacciata. Sebbene la quantità misurata sia maggiore di quanto osservato in precedenza, è ancora inferiore alla quantità totale che dovrebbe essere presente in questa nube, in base alla sua densità. Questo vale anche per gli altri elementi Chons. Una sfida per gli astronomi è capire dove si nascondono questi elementi: nei ghiacci, nei materiali simili alla fuliggine o nelle rocce. La quantità di Chons in ogni tipo di materiale determina quanto di questi elementi finisce nelle atmosfere degli esopianeti e quanto nei loro interni.

«Il fatto che non abbiamo visto tutti i Chons che ci aspettiamo potrebbe indicare che sono rinchiusi in materiali più rocciosi o fuligginosi, che non possiamo misurare», spiega Melissa McClure, astronoma all’Osservatorio di Leiden e principal investigator del programma osservativo. «Ciò potrebbe consentire una maggiore diversità nella composizione di massa dei pianeti terrestri».

«Il team del Laboratorio di astrofisica sperimentale dell’Inaf – Osservatorio astrofisico di Catania ha una lunga tradizione negli esperimenti dedicati allo studio di molecole in fase solida (ghiacci) che si trovano sulla superficie delle polveri interstellari, nelle condizioni di bassa temperatura e densità delle regioni di formazione stellare», racconta a Media Inaf  Maria Elisabetta Palumbo dell’Inaf di Catania, coautrice dello studio. «Questi “mantelli ghiacciati” sono la sede dove si formano molecole di acqua e molecole organiche (quali, per esempio metanolo, la più semplice molecola organica rivelata)».

«Le recenti osservazioni Jwst hanno permesso di acquisire spettri nella direzione di osservazione della sorgente denominata Nir38 che illumina la nube molecolare Chamaeleon I», conclude Palumbo. «I dati di laboratorio sono stati essenziali per identificare le molecole presenti nei mantelli ghiacciati confermando l’importanza degli esperimenti di simulazione per l’interpretazione dei dati astronomici. In questa prima fase gli spettri acquisiti in laboratorio hanno permesso l’identificazione delle molecole presenti sui mantelli ghiacciati nella nube molecolare Chamaeleon I. Nei prossimi mesi l’obiettivo sarà quello di studiare i processi che hanno portato alla formazione delle molecole rivelate e di valutare quali molecole potranno sopravvivere nelle condizioni estreme delle fasi evolutive successive e quindi essere incorporate nei planetesimi, gli oggetti da cui si formeranno nuovi pianeti».

Questa ricerca fa parte del progetto Ice Age, uno dei 13 programmi Early Release Science di Webb. Queste osservazioni sono progettate per mostrare le capacità osservative di Webb e consentire alla comunità astronomica di imparare come ottenere il meglio dai suoi strumenti. Il team di Ice Age ha già pianificato ulteriori osservazioni e spera di tracciare il viaggio dei ghiacci, dalla loro formazione fino all’assemblaggio nelle comete.

Fonte: Media INAF

 

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Astronomy l’articolo “An Ice Age JWST inventory of dense molecular cloud ices” di M. K. McClure, W. R. M. Rocha, K. M. Pontoppidan, N. Crouzet, L. E. U. Chu, E. Dartois, T. Lamberts, J. A. Noble, Y. J. Pendleton, G. Perotti, D. Qasim, M. G. Rachid, Z. L. Smith, Fengwu Sun, Tracy L. Beck, A. C. A. Boogert, W. A. Brown, P. Caselli, S. B. Charnley, Herma M. Cuppen, H. Dickinson, M. N. Drozdovskaya, E. Egami, J. Erkal, H. Fraser, R. T. Garrod, D. Harsono, S. Ioppolo, I. Jiménez-Serra, M. Jin, J. K. Jørgensen, L. E. Kristensen, D. C. Lis, M. R. S. McCoustra, Brett A. McGuire, G. J. Melnick, Karin I. Öberg, M. E. Palumbo, T. Shimonishi, J. A. Sturm, E. F. van Dishoeck & H. Linnartz