Seleziona una pagina

Il ghiaccio è importante per la formazione di pianeti e comete. Grazie al ghiaccio, le particelle solide di polvere si raggruppano in frammenti più grandi, dai quali si formano  poi pianeti e comete. Ed è probabile che siano stati gli impatti di comete ghiacciate ad aver portato acqua sulla Terra, fornendo così la materia prima per mari e oceani. Inoltre, il ghiaccio contiene atomi di carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto – atomi importanti per la nascita della vita. Tuttavia, fino a oggi, il ghiaccio presente nei dischi di formazione dei pianeti non era mai stato mappato in dettaglio. Questo perché la vista dei telescopi terrestri, da un lato, è ostacolata dalla nostra atmosfera acquosa, mentre i telescopi spaziali, dall’altro, non erano fino a poco tempo fa grandi a sufficienza per rilevare obiettivi così deboli. Ora però il telescopio spaziale James Webb (Jwst) permette di superare entrambi i problemi.

Un team internazionale di ricercatori guidato da Ardjan Sturm dell’Università di Leiden (Paesi Bassi) ha così potuto studiare la luce della stella HH 48 NE mentre attraversa – illuminandolo – il suo disco di formazione planetaria in direzione di Jwst. La stella e il disco si trovano a circa 600 anni luce dalla Terra, nella costellazione meridionale del Camaleonte. Visto di lato – perché è di taglio che lo stiamo osservando – il disco ricorda un hamburger, con una fascia centrale scura e due “panini” luminosi sopra e sotto. Nel suo percorso verso il telescopio, la luce della stella entra in collisione con le molecole del disco. Ciò dà luogo a bellissimi spettri di assorbimento con picchi specifici per ogni molecola – una sorta d’impronta digitale. Il prezzo da pagare è che la luce che raggiunge il telescopio è poca, in particolare dalla parte più densa del disco, la regione della fascia più scura. Ma poiché il James Webb Space Telescope quanto a sensibilità non ha rivali, anche un flusso di luce così ridotto non costituisce un problema.

Immagine composita della regione attorno al disco protoplanetario HH 48 NE. La luce diffusa sul disco è rossa. Il gas del vento sopra il disco è verde. Il getto è blu. Crediti: Hst, Jwst, Sturm et al.

È così che i ricercatori sono riusciti a osservare, negli spettri d’assorbimento, picchi ben distinti di ghiaccio d’acqua (H2O), di anidride carbonica (CO2) e di monossido di carbonio (CO). Uno dei risultati notevoli dello studio è la scoperta che il ghiaccio di CO, rilevato dai ricercatori, potrebbe essere mescolato con i ghiacci – meno volatili – di CO2 e d’acqua, consentendogli così di mantenersi ghiacciato anche in regioni più vicine alla stella di quanto si pensasse in precedenza. Sono state inoltre individuate tracce di ghiaccio di ammoniaca (NH3), cianato (OCN-), solfuro di carbonile (OCS) e anidride carbonica pesante (13CO2) – ovvero con l’isotopo carbonio-13 al posto del comune carbonio-12. Il rapporto tra anidride carbonica “regolare” e anidride carbonica pesante, in particolare, ha permesso ai ricercatori di calcolare per la prima volta la quantità di anidride carbonica presente nel disco. «Grazie a questi calcoli», dice Sturm, «possiamo ora iniziare a trarre conclusioni più sicure sulla fisica e la chimica alla base della formazione stellare e planetaria».

Un ruolo determinante, in questo studio, lo hanno avuto anche i ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica: per interpretare correttamente gli spettacolari spettri prodotti da Jwst sono stati infatti utilizzati dati prodotti dal Laboratorio di astrofisica sperimentale dell’Inaf di Catania. Dati che hanno permesso di fare luce sulla composizione chimica dei ghiacci e sull’interazione tra le loro diverse componenti.

In alto a sinistra: la regione osservata. In alto a destra: dettagli sulla luce osservata e sul ghiaccio d’acqua. In basso: spettro con i picchi e gli avvallamenti relativi alle diverse molecole. Crediti: Sturm et al., A&A, 2023

«Il Laboratorio di astrofisica sperimentale di Catania è equipaggiato con tutta la strumentazione necessaria per simulare le condizioni di vuoto e bassa temperatura in cui si trovano i ghiacci nelle regioni di formazione planetaria. In laboratorio», spiega Maria Elisabetta Palumbo, dirigente di ricerca all’Inaf di Catania e coautrice dello studio pubblicato su A&A, «possiamo simulare sia le fasi di formazione dei ghiacci sia i processi a cui sono sottoposti a causa dell’interazione con la protostella. Durante gli esperimenti acquisiamo spettri infrarossi che utilizziamo per il confronto con le osservazioni astronomiche».

«Gli esperimenti realizzati nel Laboratorio di astrofisica sperimentale di Catania», aggiunge un altro dei coautori dello studio, Riccardo Urso, ricercatore all’Inaf di Catania, «ci permettono di capire meglio qual è la composizione chimica dei ghiacci in HH 48 NE e come le molecole sono mescolate fra loro. Particolare attenzione è stata dedicata alla molecola di OCS (solfuro di carbonile), che è l’unica molecola contente zolfo identificata fino a oggi nei ghiacci in un disco di una regione di formazione stellare. Lo studio del profilo della banda ci ha permesso di capire che l’OCS è in miscela con altre molecole e che si trova in regioni del disco a diversa distanza dalla stella centrale».

Per il prossimo futuro l’intenzione dei ricercatori è studiare spettri più ampi dello stesso disco planetario e di osservare altri dischi di formazione planetaria. Se la scoperta sulle miscele di ghiaccio di CO fosse confermata, sottolineano, ciò modificherebbe la nostra attuale comprensione delle composizioni planetarie, portando a ipotizzare pianeti più ricchi di carbonio.

Fonte: Media Inaf

Per saperne di più: